Di seguito il post di Paolo Sarti sul suo profilo Facebook:
Ha senso inserire lo smartphone in classe presentandolo come strumento didattico innovativo quando i pedagogisti e i sociologi ci segnalano la terribile dipendenza che si è instaurata fra i ragazzi? Non dormono più la notte per stare attaccati al cellulare ed il primo pensiero al risveglio è quello di chattare con gli amici; anche se proibito lo usano comunque la metà del tempo che stanno in classe di nascosto, sotto il banco; non escono, non si ritrovano, non si “dichiarano”, non si conquistano … insomma non ci mettono più la faccia, nascosti sui social e dietro il paravento dei messaggini. Il pedagogista Novara non ha dubbi: “Autorizzare lo smartphone a scuola è come dare dell’acqua a uno che sta affogando!”. Vorrei segnalare anche che ci sono studi scientifici che dimostrano come l’uso della tastiera non attivi le stesse sinapsi della scrittura manuale, come dire: “fa funzionare meno il cervello”.
Insegnare ai giovani un uso più intelligente e consono al vivere sociale è indispensabile e, innegabilmente, oltre ai genitori, anche lo scuola è chiamata a farlo. Ma ha senso addirittura teorizzarne un uso come fa la Ministra per tutti gli ordini di scuola, compreso la primaria (dai 6 ai 10 anni), età in cui i genitori devono combattere con grande fatica per rimandarne per quanto possibile l’acquisto?
Sul piano del semplice uso meccanico dei telefonini poi ci riesce difficile immaginare una didattica gestita da chi ha meno esperienza e prontezza del discente. Sul piano delle regole invece e dell’allerta sulle insidie l’adulto deve avere certamente un ruolo. Ma se ne può parlare in classe senza che ognuno si debba dotare di smartphone (con un aggravio di spesa per altro per chi non ce l’ha o comunque non ce l’ha di ultima generazione): basterebbe una “lim” (lavagna interattiva multimediale) con un ben fatto PowerPoint!
E forse la scuola, più che arrendersi alle derive della società e a rincorrere le mode (dice la Fedeli “… il telefonino ormai è nella mani di tutti, meglio negoziare un uso responsabile”) dovrebbe tenere il timone fermo, recuperando un ruolo formativo e non solo sulle tecniche di scrittura (abituati a WhatsApp “i ragazzi si dimenticano perfino di firmare il compito”, dice il pedagogista Mantegazza) ma anche e soprattutto sull’aprirsi al confronto, all’esporsi, al dialogo, alla curiosità di vivere nel mondo. E tutto questo non si può imparare rinchiusi nella realtà virtuale di un telefonino, al riparo di un rassicurante, fittizio, anonimato.
Gli unici che non esprimeranno dubbi su questa uscita della Ministra Fedeli probabilmente saranno quelli che si muovono nel ricco mercato degli smartphone!”.
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