April 07, 2021 00:07:55
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Apr 07 2021 | 00:07:55

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Show Notes

Sta facendo molto discutere l’obbligo vaccinale per i sanitari introdotto, pena il demansionamento, nell’ultimo decreto Covid del primo Aprile. abbiamo raccolto la testimonianza di un medico che lavora in un noto ospedale della toscana che, da vaccinato, ci spiega perché è contrario.

AVVERTENZA: abbiamo mantenuto, come richiesto dalla fonte, e come nostro obbligo di giornalisti sia deontologico che giuridico, l’anonimato. Quindi l’intervista AUDIO è interpretata da un nostro speaker.
Cosa pensa dell’obbligo vaccinale per i sanitari

Per centrare subito il nocciolo della questione penso sia illegittimo, oltre che completamente inutile nella pratica. Sull’inutilità dell’obbligo vaccinale per i sanitari bastano poche parole in quanto è stato lo stesso ministro Speranza (dati alla mano) ad affermare che si tratta di una forma di intervento che “va ad agire su una quota di sanitari molto residuale” in quanto l’adesione dei sanitari alla vaccinazione è stata massiva.  Per altro, i vaccini attualmente in uso non prevengono dal rischio di contagio  ma sono utili a ridurre la gravità clinica di malattia.

Per quanto riguarda la legittimità la questione è più articolata ma vale la pena affrontarla per punti perché è una riflessione che va a toccare concetti fondanti della nostra democrazia e quindi della professione medica. Evito volutamente di addentrarmi in riferimenti di legge che appesantirebbero le fluidità delle argomentazioni, ma do per acquisito che documenti quali la Convenzione di Oviedo, il Codice di Norimberga e l’art 32 della Costituzione siano ben noti a tutti i sanitari che leggono/ascoltano.

Dunque, nel momento in cui un trattamento sanitario viene proposto come obbligatorio (cosa per altro rarissima e che può essere giustificata solo da una situazione di reale necessità e/o pericolo),  devono essere SEMPRE rispettate almeno 3 condizioni (sentenza Corte Costituzionale  n 258/94):

Questa condizione è contraddetta da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)[1] che autorizzando l’uso del vaccino ricorda che anche i vaccinati possono comunque contrarre il virus ed essere fonte di contagio per altri e raccomanda il mantenimento in uso dei presidi di protezione individuale anche per i soggetti vaccinati a scongiurare questa eventualità.

Nemmeno questa condizione è garantita perché i vaccini attualmente in uso sono vaccini ancora in fase sperimentale III  impiegati su larga scala solo in via emergenziale.

Gli effetti collaterali del vaccino a medio e lungo termine non sono noti, non è indagata l’eventuale cancerogenicità o genotossicità e i dati di sicurezza sono attualmente insufficienti. Ciò e esplicitato sullo stesso bugiardino con un triangolo nero rovesciato accompagnato dalla dicitura  “farmaco soggetto a monitoraggio”.

D’altra parte, ragionando all’opposto e per assurdo, se la sicurezza di somministrazione fosse già assodata non avrebbe senso l’introduzione dello scudo penale per il personale vaccinatore contenuto nello stesso decreto.

In un recente passato sono stati resi obbligatori altri vaccini in cui però si era già ottenuta un’approvazione in via definitiva dall’EMA e dalla FDA (e per cui non è previsto alcuno scudo penale del personale vaccinatore), ma ciò può richiedere oltre 10 anni di osservazione clinica, lusso che attualmente per ovvie ragioni non possiamo permetterci.

Attualmente chi si sottopone a vaccinazione sottoscrive un consenso informato in cui accetta consapevolmente il rischio di eventuali effetti collaterali per altro ancora non completamente noti sollevando da ogni responsabilità tanto lo Stato quanto la casa produttrice. Va da sè che se il vaccino diventa un obbligo lo stato dovrebbe farsi carico di eventuali risarcimenti da danno da vaccino, ma questa eventualità non è esplicitata nel decreto e rimane una questione aperta

Infine, e questa è la cosa che più mi lascia perplesso, esiste una recente risoluzione del Consiglio d’Europa (n 2361_2021) che vieta agli stati di rendere obbligatoria la vaccinazione anti covid e vieta di usarla per discriminare i lavoratori. Davvero questo decreto attuativo dello Stato mi sorprende. In due righe si liquidano  decenni di conquiste democratiche e tutele personali in nome di uno stato di emergenza e di un presunto bene collettivo. Chi decide qual è il bene collettivo e quale sia il limite invalicabile? Se manca questo parametro di riferimento le derive possono essere pericolose.

Che clima si respira in corsia?

Difficile descriverlo. Sicuramente il clima non è sereno. Percepisco tra colleghi in corsia un silenzio assordante che faccio fatica ad interpretare e ad accettare.  Constato la completa mancanza di un dibattito aperto e critico e non saprei dire se ciò dipende da disinformazione, disinteresse (ribadisco che i sanitari hanno aderito in massa), fideismo o da una sorta di autocensura secondaria alle forti pressioni che comunque ci avvertono da parte della dirigenza sanitaria.

Se posso sbilanciarmi però mi sembra prevalga quasi  un intento di essere punitivi verso chi non adempie in ossequio a un dictat e a una ideologia, piuttosto che quello di garantire la tutela verso un “consenso informato, libero e non condizionato” .  Tutto ciò mi ferisce come cittadino ma anche come medico perché la medicina non è solo protocolli e linee guida. Il metodo scientifico fa del dubbio un presupposto metodologico e lo scienziato vero (ma anche il medico clinico) è una persona che continuamente pone domande, ricerca le fonti, mette in gioco idee, osservazioni, pensieri. Il dogma non fa parte del metodo scientifico con buona pace di che professa facili verità e ancor più facili coercizioni.

Il silenzio assordante, però, non è solo in corsia. E’ per strada, in televisione, sui giornali. Una sorta di anestesia, di stanchezza che porge il fianco a un sentimento di rabbia non ben finalizzata e pericolosa.

Voci critiche ci sono? Perché non vengono allo scoperto?

Perché sono una minoranza e perché il decreto, nel momento in cui prevede un de-mansionamento o addirittura l’astensione non retribuita  dal lavoro (per altro anche per i professionisti privati, i farmacisti e i parafarmacisti!) attua una discriminazione  e una forte penalizzazione economica.  Questa minoranza comunque si sta organizzando. Su canali più nascosti o sui social si scoprono comunque numerose voci critiche. Il decreto è già esecutivo a tutti gli effetti per cui già nei prossimi giorni sono sicuro che verranno presentati ricorsi e diffide.

Che riflessioni suscita il dibattito in corso sull’obbligo vaccinale? 

Delle riflessioni etiche e scientifiche ho già parlato. Mi permetto una riflessione pratica che forse non è di immediata intuizione a chi non conosce il mondo sanitario. Non c’è ospedale attualmente in Italia che non soffra di gravi carenze organiche. Non c’è infermiere o medico (soprattutto nel campo dell’area critica o dell’emergenza) che non abbia decine e decine di giorni di ferie non goduti, centinaia di ore lavorate in  esubero non recuperate, mesi e mesi di congedi non utilizzati. Quest’anno di pandemia ha richiesto a tutto il mondo sanitario un ulteriore sforzo sul piano professionale, fisico e familiare. Nessun sanitario si è sottratto in nessun contesto.

Mi chiedo: siamo sicuri che il de-mansionamento temporaneo (o addirittura il congedo) non sia quasi un privilegio a questo punto? E soprattutto, siamo sicuri che con mesi di ferie non godute e tali esuberi orari accumulati si possa ricorrere a pene economiche? E infine… siamo sicuri che l’attuale SSN, con tale sofferenza organica, possa permettersi di rinunciare a forza lavoro, seppur di poche unità? Penso proprio sia un autogol su tutta la linea.Nei fatti questo decreto ha 2 conseguenze

Il lavoro da fare è l’opposto: va chiuso il cerchio della cura, e per far ciò occorrono investimenti strutturali, va rinsaldata un’alleanza, ci deve essere un riconoscimento delle buone pratiche e la correzione costante dell’errore.  Bisogna educare, coinvolgere, unire e rendere consapevoli.

Lei è un no vax?

Fino ad ora ho volutamente omesso di dirlo ma faccio parte della quota di sanitari già vaccinati con Pfizer.  Ho deciso di vaccinarmi dopo una lunga riflessione soppesando pro e contro (dati scientifici preliminari disponibili, mio personale rischio professionale, fattori di rischio sanitario individuale, paure e credenze) ma la riflessione sulla non non-legittimità del decreto non cambia di una virgola.  Per altro l’etichetta No Vax è assolutamente fuorviante. Se anche avessi deciso di non vaccinarmi non mi sarei considerato “NO VAX”. Queste etichette servono a screditare l’interlocutore in un dibattito che, invece, deve essere dialettico, scientifico e rispettoso

Cosa pensa  di questi vaccini e della campagna vaccinale per come è stata messa in piedi finora?

Le considerazioni sono fin troppo ovvie. Evidentemente è troppo lenta e una campagna vaccinale portata avanti per step asincroni può rivelarsi davvero controproducente. Se da un lato non abbiamo ancora cominciato a vaccinare i soggetti a rischio, dall’altro bisogna già cominciare a pensare al richiamo per chi si è vaccinato a gennaio. Non è un problema da poco conto. A me sembra che il concetto che il vaccino non dia un’immunità permanente non sia ancora acquisito (tanto è vero che è prevista la vaccinazione anche di chi ha già fatto la malattia) e che la rivendicazione vera in un contesto in cui i vaccini arrivano a singhiozzi non sia la vaccinazione dei sanitari bensì quella della fascia di popolazione più fragile (fragile di salute ma anche per condizione sociale).

Vaccinando cosi lentamente senza bloccare la diffusibilità virale si rischia di selezionale ceppi di resistenza al vaccino. I media non sono di supporto, si alimentano polemiche marginali che poi causano paura e isolamento.

Sono però consapevole che non sia una situazione facile da organizzare e continuamente insorgono intoppi e problemi su cui non ho competenze per formulare giudizi.

Più che altro attendo risposte a domande, risposte che purtroppo non arriveranno presto. Ad esempio i tempi dei richiami vaccinali sono ancora da definire, mancano dati certi sulla possibilità di resistenza vaccinale per i nuovi ceppi, è presto per avere idea della prevalenza della ADE (antibody dependent enhancement), e anche per sapere se ci possono essere effetti avversi nell’inoculazione di vaccini di diverso tipo in tempi diversi.

Cosa avrebbe cambiato della gestione dell’emergenza?

Come tutti nel tempo sono caduto nel gioco infinito della critica e e dell’opinione alternativa costante su ogni dpcm prodotto da un anno a questa parte.  Senza riscontri concreti è un gioco sterile. Sicuramente penso che la gestione pandemica a livello sanitario vada diversificata e può rivelarsi un errore puntare tutto sul vaccino. La gestione delle pandemie si gioca sul lungo termine e accorgersene tardi può essere fatale. Lo sforzo economico prodotto per la produzione di vaccini (oltre 140 in attesa di approvazione) si deve associare alla volontà di individuare terapie adeguate e ad uno sforzo  organizzativo di ripensamento globale del nostro SSN.  L’unica certezza è che questa emergenza rappresenta una svolta epocale. Si è aperto un nuovo scenario che fino ad un anno fa non era nemmeno immaginabile. Tutto ciò richiede anche risposte nuove, pensieri nuovi, deve essere l’occasione di un ripensamento profondo di tutta la nostra struttura sociale sul piano organizzativo ed etico senza perdere ulteriore tempo.

Questo riguarda anche l’idea di salute e di cura che portiamo avanti come sanitari. Va ripensato tutto. La pandemia ci ha fatto rivalutare l’importanza della medicina territoriale (finalmente) e l’idea di prevenzione (sono i fattori di rischio e gli stili di vita che condizionano poi l’andamento della malattia).  Abbiamo finalmente intuito sulla nostra pelle quanto sia essenziale e sano il tempo passato all’aria aperta  (invece che rinchiusi costantemente in case, ristoranti, automobili) e quanto il contatto e l’interazione sociale sia una necessità irrinunciabile. Queste riflessioni non possono rimanere solo teoriche e non si può tardare ulteriormente. Andrebbero introdotte nel nostro vissuto quotidiano.

 

Un esempio?

Ne avrei molti, ma voglio rimanere sul tema sanitario. Tutti i sanitari che hanno vissuto in prima persona l’emergenza Covid conservano una ferita aperta: il ricordo di pazienti che da soli, completamente soli, hanno vissuto l’allontanamento dai familiari, la malattia e la morte. Si è trattato di una necessità di ordine pratico: l’accesso dei parenti in ospedale è un rischio per loro stessi e per la struttura. La contaminazione di ospedali, sale operarie e reparti sarebbe fatale.

Ad un anno dall’inizio dell’emergenza ancora vige questa norma: nessun familiare, amico, congiunto può valicare la soglia dell’ospedale. Si muore quasi sempre da soli, si guarisce soli. Punto. Mi chiedo se dopo un anno questo sia ancora lecito.

Mi chiedo se la dignità del fine vita e della malattia non meritasse un’attenzione etica e uno sforzo organizzativo in più. Non so se una soluzione sia fattibile in tutti i contesti, ma io non ho mai nemmeno sentito porre la questione. Con immensa sofferenza da parte di alcuni e assoluta indifferenza da parte di altri, a questa questione etica e morale abbiamo abdicato subito. Eppure nel mio piccolo ho sempre dato per scontato che il senso di qualsiasi esperienza si rivelasse nella fine, compresa quella dell’esperienza più grande: la morte.  Questo è un triste indizio della società che rischiamo di diventare se non raccogliamo tutto il potenziale racchiuso in questo cambiamento epocale e se non costruiamo ponti e alleanze per produrre una visione nuova e una chiara scala di priorità di quelli che sono i nostri valori sociali e i nostri diritti.

[1] faq AIFA rapporto ISS n 4/2021 del 13/3/21

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